Falsi miti nella comunicazione digitale, che i manager dovrebbero conoscere

Chi coordina un dipartimento aziendale deve conoscere ogni materia di sua competenza? Ovviamente no. È importante però tenersi alla larga da generalizzazioni errate e affidarsi ai professionisti giusti.
marketing manager sorpreso mentre si toglie gli occhiali

In questo articolo scoprirai che…

  • Tutti siamo vittime delle scorciatoie cognitive (anzi, ne abbiamo bisogno).
  • Alcuni media che pensavi soffrissero di cattiva salute, in realtà stanno benissimo.
  • La semplicità è gradevole, il semplicismo è solo cattivo.

Chiunque abbia un ruolo di coordinamento all’interno di un team produttivo, si trova di fronte al grande dilemma della competenza limitata e della responsabilità estesa. Vale a dire che il manager deve rispondere del successo di una strategia, pur non potendo conoscere in maniera dettagliata materie, che entrano invece nelle competenze del singolo professionista. 

Per direttori marketing e marketing manager la questione diventa particolarmente spigolosa. La comunicazione digitale si caratterizza infatti per specialismi che devono confrontarsi ogni giorno con tecnologie e regole in continua evoluzione (basti pensare agli aspetti normativi o all’applicazione dell’AI al mondo della comunicazione). Chi coordina la strategia di marketing all’interno di un’azienda – specie se il core business non è la comunicazione – ha bisogno di capire se un lavoro è fattibile, se si sta rivolgendo al collaboratore giusto o se, ad esempio, necessita di altre professionalità.

Le scorciatoie cognitive sono dietro all’angolo. False credenze e generalizzazioni, spesso confermate anche da tool e fonti online, possono compromettere le strategie del manager. Elenchiamo quindi di seguito alcuni tra i più comuni “falsi miti” del digital marketing.

SEO

La SEO, ossia l’insieme delle tecniche finalizzate all’ottimizzazione dei contenuti per il posizionamento sui motori di ricerca, vive quotidianamente i cambiamenti di algoritmo dei diversi player (Google su tutti). Ci sta che regole buone oggi, non lo siano domani. Spesso i tool utilizzati per la SEO tendono ad assecondare pratiche vecchie o a semplificare eccessivamente quelle buone. Il conteggio delle citazioni di una keyword, senza curarsi dei sinonimi, l’imposizione di determinate ripetizioni a discapito dell’estensione semantica, la keyword ad alto traffico come unico credo e l’equivoco tra qualità e lunghezza del contenuto sono alcuni tra gli errori più comuni del settore. 

Social media management

La matrice delle più grandi, false credenze in tema social network è il presenzialismo, ossia l’idea che si debbano aprire più profili social possibile, che si debba pubblicare il più possibile e che debbano vedere i contenuti più persone possibile. Insomma, essere presenti, ma tanto, tanto, tanto. Dare un ritmo alle proprie pubblicazioni e non allungare i silenzi sono accorgimenti fondamentali, anzi: sono pre-requisiti di ogni piano editoriale ben congegnato. Eppure va tutto commisurato a target e settore di riferimento, per non rischiare il paradosso: essere presenti così tanto, da essere silenziati da utenti e algoritmi.

Piccola postilla: se il presenzialismo è la madre di tutti i peccati delle gestioni social, il partecipazionismo ne è il padre. Inutile incoraggiare gli utenti a dire la propria, in maniera plateale, se tanto non partecipano. Ciò non fa altro che rendere il silenzio più evidente.

UX

L’equivoco più importante è, probabilmente, la confusione tra UX e design. I due campi si sovrappongono e non è raro che, all’interno di un team, proprio il designer esperto di UX sia il professionista che ha l’ultima voce in capitolo. Ciononostante la User Experience investe tutti i settori e passa anche per il copy (lo UX writer è una figura professionale “ufficializzata” in diverse aziende). Google, ad esempio, ha dichiarato un CTR del +17% sulla propria piattaforma di viaggi, dopo aver modificato la CTA “Prenota una stanza” in “Controlla la disponibilità” (di seguito il video dell’evento del 2017, durante il quale Big G rilasciò questi dati).

A proposito di eCommerce: non sempre mostrare tanti prodotti sulla pagina di atterraggio vuol dire accrescere le possibilità di vendita. Copiare Amazon – anche questo è un luogo comune da cui liberarsi – può convenire in alcuni casi; in altri semplicemente no

Reputazione

In tema di reputazione, ci si muove tra gli estremi del “purché se ne parli” e della perfezione patinata. CMO e marketing manager già sanno che la prima delle due opzioni non è un’opzione, ma solo una giustificazione ex-post di un guaio a cui porre rimedio. Circa la perfezione patinata, gli utenti si aspettano di trovarla in una rivista di gossip, non certo in un’azienda. Da qui la tecnica, come la definisce Robert Cialdini, dell’ “astuta sincerità”, che può portare ad ammettere sul proprio sito recensioni anche non positive, che però danno modo all’azienda di argomentare e con-vincere, ossia di vincere insieme (con) alle critiche.

ADV

L’advertising soffre l’insofferenza di chi, acquistando ora, vuole adesso. Ciò non solo implica la difficoltà ad attendere il risultato e i tempi fisiologici degli algoritmi, ma anche a investire su campagne con obiettivi diversi dalla vendita (che però influiscono sulla stessa). Sponsorizzate sul branding possono contribuire alla percezione del prodotto e ad aumentare il prezzo, campagne di awareness possono aiutare a segmentare il pubblico e quindi ad abbassare successivamente il CPC. 

Soprattutto, il risultato non dipende solo dalla creatività sponsorizzata (leggasi il paragrafo sulla UX, ad esempio) e va sempre ponderato con altre metriche (per esempio, quante persone si sono iscritte alla mailing list).

CMS 

I CMS si evolvono, ma resta attaccata su ognuno di loro un’etichetta difficile da scollare. Magento è il sistema dei grandi eCommerce, WordPress/Woocommerce di blog e piccolissimi shop online, Prestashop dei negozi “ambiziosi”, Shopify di quelli economici. La concorrenza di tutti questi player li ha portati a somigliarsi più di quanto si creda. Restano differenze importanti, ma non sono più quelle del passato.

Copywriting

Il primo grande equivoco sul copywriting è che è diventato poco importante, pressoché inutile: “tanto nessuno legge più”. Ne deriva anche una profonda avversione dei testi lunghi, come se non esistessero paragrafi, link alle ancore e possibilità di storie avvincenti. Soprattutto, il copywriting non è solo in blog e pagine web, ma anche in video e slide, in termini ampollosi e in quelli così primitivi da essere suoni. Cambia registri, in base al pubblico e alle intenzioni e, pur ammettendo regole, non perdona generalizzazioni. Accoglie le verità di neuro-, persuasion- ed experiential-marketing, ma senza assolutizzarle: Il “non”, da evitare perché ricorda ciò che si è negato, potrebbe offrire un vantaggio maggiore dello svantaggio, rafforzando il senso di appartenenza a una comunità o evocando un ricordo. 

Email marketing

L’email resiste alle diverse generazioni del Web e, soprattutto per questo motivo, è visto spesso come un canale di comunicazione vecchio e inefficace. In realtà si conferma essere uno strumento eccezionale, soprattutto in fase di upselling e nurturing. A questo proposito, è bene anche sfatare il mito dell’email marketing come canale esclusivamente di vendita, perché, in realtà, contenuti informativi, di intrattenimento o di analisi dell’utenza possono aiutare a costruire relazioni con i clienti, a migliorare la fiducia nel marchio e a conoscere meglio il proprio pubblico. È anche così – e ci liberiamo in questo modo da un’altra generalizzazione – che miglioriamo il trust delle nostre “lettere” e le facciamo scivolare pian piano dalla scheda “promozioni” a quella “principale”.

Strategia

Un riferimento – breve, discreto e rispettoso nei confronti del nostro lettore – lo merita anche la strategia, che rientra proprio nelle competenze di CMO e manager. La semplificazione della fase tattica crea formule grottesche, che non prendono in considerazione le differenze di settore e come si muovono le altre leve della comunicazione. Nel content marketing, ad esempio, sono diffuse formule che indicano le proporzioni giuste per le diverse fasi del funnel. Come se 5 contenuti di awareness, non sponsorizzati sui social e senza visibilità sulle SERP, possano valere più di uno con budget e su un sito ottimizzato.

Servono schemi, semplificazioni e generalizzazioni. Ma, su tutto, servono senso critico e intelligenza.

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