PMI e digital marketing: attenzione agli aspetti normativi che non tutti conoscono

È ancora frequente il ricorso a pratiche e messaggi pubblicitari vietati. Si tratta spesso di ingenuità che potrebbero costare caro all'imprenditore.
limiti alla pubblicità rappresentati da un mouse che supera una catena

In questo articolo, tra le altre cose, scoprirai che…

  • Digital Services Act e Gen Z vanno davvero molto d’accordo.
  • Gli influencer devono usare gli hashtag giusti.
  • I contest seguono le regole dei concorsi a premi.

Nei primi anni del 2000, quando i modem a 56k portavano giovani molto pazienti in Rete, capitava di incappare in messaggi pubblicitari che tentavano di vendere davvero qualsiasi prodotto. Tra pratiche mediche discutibili e messaggi ammiccanti fuori contesto, la pubblicità colpiva tutti, senza alcuna attenzione per età e interessi del target. 

Se le aziende agissero online oggi come allora, incapperebbero sicuramente in sanzioni pecuniarie e ban. La pubblicità, infatti, è sempre stata un settore fortemente regolato, ma non tutti sanno che…

Il DSA impone nuovi limiti

Il DSA (Digital Services Act), che sarà direttamente applicabile a partire dal febbraio 2024, impone alle grandi piattaforme di adempiere a obblighi che, in realtà, impattano sulla vita di tutti, PMI e consumatori compresi. Questa legge vieta infatti la pubblicità personalizzata in base a religione, orientamento sessuale e idee politiche, impone maggiore trasparenza sugli algoritmi usati, obbliga alla semplicità nelle comunicazioni di natura legale (es. termini e condizioni e policy privacy) e nella scelta di cessione di dati. Da un punto di vista strategico, ciò rinforza l’urgenza di pianificare comunicazioni più centrate sul brand, esattamente come dovrebbero fare le aziende che parlano alla Gen Z.

Il nome è sempre importante, anche online

Il nome di un prodotto o servizio, così come quello di un’azienda, deve rispettare il carattere di originalità e non creare confusione con potenziali concorrenti. Bisogna dunque resistere alla tentazione esercitata dal “nome giusto”, perché potrebbe essere impegnato anche da un concorrente che ha utilizzato una variante molto simile. Esistono registri pubblici liberamente consultabili e regole stringenti. Meglio conoscere nel dettaglio la normativa o rivolgersi agli esperti, piuttosto che dover cambiare il nome di un prodotto… dopo aver speso migliaia di euro per pubblicizzare naming e logo che, in realtà, appartengono alla concorrenza.

Alcuni settori sono più regolamentati di altri

Certi temi sono particolarmente delicati e, quindi, seguono regole ad hoc. Non si tratta di una novità, poiché, ad esempio, la prima legge che in Italia vieta la pubblicità di “prodotti da fumo” risale al 1962 (legge 165 del 10 aprile). Una forma “limitata” di marketing è necessaria anche per gli alcolici, i prodotti e le pratiche mediche e i contenuti per adulti. Spesso le stesse piattaforme digitali sono regolate da ban o da algoritmi specifici. Google, per esempio, individua il grande settore dell’YMYL (Your Money, Your Life), che include finanza e salute, ossia tutto ciò che impatta in maniera importante sulla vita delle persone. Editori, inserzionisti e motori di ricerca devono regolarsi di conseguenza, pena downgrade e ban. Quindi, prima di avviare strategie di marketing e campagne di digital advertising, è necessario valutare se il proprio settore sia o meno sottoposto a leggi e regolamenti specifici.

L’Influencer marketing segue regole precise

Gli “influencer” soffrono l’equivoco di tutto ciò che è amatoriale. Possono essere grandi professionisti, ma il solo fatto di vivere in ambienti di “amatori” (di una piattaforma o di una determinata materia) sembra giustificare alcune imprese ad approcci poco seri. I brand che si rivolgono a loro – e gli stessi interessati – devono rispettare le norme di Digital Chart, Codice di consumo e di autoregolamentazione della pubblicità. La normativa impone, ad esempio, di usare hashtag che chiariscano la natura commerciale, quali #adv, #ad, #advertising per le collaborazioni a pagamento o #prodottofornitoda per il solo regalo della merce.

I contest non sono un “gioco”

Un contest può essere ospitato su un sito di proprietà dell’imprenditore o su un social, poco importa: in ogni caso si tratta di concorsi a premi che, in Italia, sono regolamentati dal 2001 (DPR 430, 26 ottobre 2001). La legge spazza via quella leggerezza che spesso vede sorgere contest improvvisati. Il Regolamento del concorso non deve essere semplicemente e solo pubblicato sul sito, ma va registrato al Ministero dello Sviluppo economico, a cui si versa anche la cauzione che copre il valore del premio. Tutto troppo difficile? Non tanto, ma si tenga presente che il server che ospita il gioco (che può svolgersi anche sui social) deve trovarsi in Italia e che il verbale certificante il vincitore deve essere redatto da un notaio o da un rappresentante della Camera di commercio locale. 

Tutto si può fare, basta conoscere le regole e inserire la spesa di un contest in un vero, profittevole piano di comunicazione.

I giornali devono rispettare i lettori

Un pubbliredazionale è un articolo pubblicato su giornali digitali o cartacei, che racconta una news, una storia o sviluppa un’intervista in maniera giornalistica. Il contenuto gode dunque della “notiziabilità” e, di rimando, della credibilità di un quotidiano. Da qui urge la necessità di informare il lettore sulla natura commerciale del contenuto con una nota o un banner che esplicita “informazione pubblicitaria”, “articolo sponsorizzato”, “inserzione a pagamento” o simili. 

Il native article rientra nella stessa categoria di contenuto a pagamento su un quotidiano. Qui cambia anche il paratesto – la skin e i banner sono personalizzati sull’esigenza del cliente – e il tema appare molto più laterale, di intrattenimento e meno giornalistico. Anche in questo caso bisogna palesare la natura sponsorizzata del contenuto.

L’employee advocacy non può essere data per scontata

Impiegati e collaboratori hanno sicuramente il loro interesse ad essere annoverati nel team della tua azienda, ma non è detto che vogliano essere mostrati al mondo come in una foto famiglia. L’employee advocacy, ossia la promozione dell’azienda da parte dei suoi stessi impiegati, può imporre accortezze di natura legale in presenza di determinate iniziative. Ad esempio, non dovrebbe essere dato per scontato il riutilizzo di una foto o di un video dell’impiegato. Sottoposti alla tutela della GDPR, i dati personali possono essere concessi solo dietro una raccolta verificabile di un consenso esplicito.

Rispetto alla prima era di Internet, sono cambiate non solo le regole, ma anche le tecnologie. Queste danno alle aziende veri e propri “super-poteri” (come la possibilità di usufruire dei microdati), rispetto ai quali la legge impone regole a tutela dei consumatori. Una strategia di marketing vincente oggi ha bisogno di chi ha la capacità di attivare quei super-poteri e, allo stesso tempo, di restare entro i limiti stabiliti dalla legge.

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